Odio le librerie

Odio le librerie – non tutte – ma le odio.
Odio le librerie perché ogni volta che entro, la sensazione che mi pervade è quella di entrare in un supermercato. Non che quest’ultimo sia un posto deprecabile – ci mancherebbe altro – ma siamo tutti d’accordo che una libreria non dovrebbe avere nulla in comune con un supermercato: le leggi che lo governano dovrebbero essere diverse, il personale preferibilmente proveniente da estrazioni culturali opposte, persino le luci e le scaffalature – elementare! – dovrebbero essere diversi. Ed invece ad un certo punto la testa bacata di qualche esperto di marketing si è messa in funzione – scommetto cigolando – partorendo l’aborto. Il semplice suscitare in me la comunanza tra libreria e supermercato dà il modo alla mia incazzatura di compiere il fatale, ultimo balzo nell’ignoto del cieco oblio.
Odio i commessi delle librerie – non tutti – ma li odio. Visceralmente.
Li odio quando ti guardano con quello sguardo acquoso e senza espressione dopo che gli hai chiesto se hanno “Infinite Jest” di Foster Wallace. E se non lo hanno a disposizione – non lo ammetteranno mai ma si vende ancora come il pane – li odio perché hanno dovuto consultare il terminale e non ad occhio, puntando sicuri lo sguardo all’esatta posizione sullo scaffale. Odio quando rispondono “guardi se c’è qualcosa che le può interessare lo stesso” – come se un libro valesse un altro. A volte, in preda ad un masochismo di cui non mi sono mai saputo spiegare, ho persino l’ardire di illudermi nel chiedere un consiglio per una valida alternativa – che per i grandi libri semplicemente non esiste. L’ipocrisia aggrappativa a specchi e a tutte le altre superfici vitree che stanno dietro ai monosillabi, alle frasi monche, ai “non saprei, aspetti che magari etc etc” danno l’ultimo segnale per lo scatenarsi dell’angolo più oscuro del mio essere.
Odio i dorsi lucidi, le copertine rigide, la freschezza eccessiva della stampa – non tutti – ma li odio.
Li odio soprattutto perché messi in bella mostra, di fronte all’ingresso o su un’isola al centro del negozio, ben visibili (appetibili – e quindi in teoria rilevanti) per il semplice fatto che sono gli ultimi ad essere usciti dalle rotative. Li odio perché generalmente la libreria ne ha acquistato un quantitativo tale da creare una pila, il cui ultimo in alto è stato messo ritto, in piedi come l’atto eroico della bandiera di una spedizione sul cocuzzolo più alto delle Ande. Odio accomunare l’atto eroico ad uno stratagemma di mercato.
Odio i faccioni in quarta di copertina – questi tutti – sì li odio.
Odio questi faccioni perché penso che una persona che abbia scritto un libro – se è un buon libro – non abbia la necessità di vendere la propria faccia, piuttosto ciò che ha scritto – e quindi la propria idea. Odierò coloro che a questo proposito mi porteranno qualche esempio, le solite giustificazioni. Li odierò perché mi daranno la certezza che alcuni autori hanno la necessità di vendere più la loro faccia che le loro idee.
Odio vedere le librerie ridotte ad un prolungamento delle case editrici. Questo lo odio in blocco.
Lo odio perché è il camuffo dietro cui questi farabutti stanno dettando la legge del gusto. Odio pensare all’odio che proverò non appena scoprirò cosa avranno deciso che sarà dopo le barzellette, i maghetti, i vampiri, il sangue succhiato essenza d’amore, i libri di partito, le memorie discotecare.
Odio vedere i tanti che abboccano senza pensare. Non odio questi personalmente, odio invece vederli catapultati ad acquistare i tomi sulle pile, in preda al raptus volenteroso dei più deboli – i sapientoni: bisogna leggere. Tutti in libreria allo sbaraglio!
Odio dover pensare alle librerie come un luogo pericoloso.


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